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Il 2013 sarà l’anno della pubblicazione dell’edizione critica dei diciotto Songs of Love and Destiny di Rabindranath Tagore tradotti in inglese e francese e trascritti per piano e voce dal Professor Daniélou. Come curatore del progetto, è mio piacere condividerne con i lettori di Alain Daniélou Actualités lo spirito e la sostanza che rappresentano il coronamento di un lavoro complesso e articolato iniziato nel 2007.
I diciotto Canti sono il frutto della richiesta espressa a Daniélou da parte del Poeta di condividere con il pubblico occidentale non solo le liriche, ma anche le melodie che le accompagnano, in un contesto sonoro più familiare al pubblico occidentale. Ad oggi ben pochi lettori ed estimatori di Tagore sono a conoscenza del suo imponente lavoro musicale. Le sue melodie sono patrimonio comune dell’India, vengono insegnate nelle scuole ed eseguite nelle case e nelle sale da concerto ben oltre i confini del Bengala. Gli stessi inni nazionali dell’India e del Bangladesh, testo e musica, sono sua creazione.
L’universalità del messaggio di Tagore, Nobel per la letteratura nel 1913, è evidente fin dalla prima lettura; le sue poesie sembrano rivolgersi a tutti, intimamente e collettivamente; la musica invece riflette l’influenza delle forme e degli stili classici e semiclassici presenti all’epoca della sua formazione artistica: il khyal, il dhrupad, le musiche devozionali indù, musulmane e sikh e dei mistici baul, poeti-musicisti vagabondi del Bengala.
Il lessico, le modalità di trasmissione e di esecuzione, le sonorità della musica indiana differiscono parecchio dalla musica occidentale. Daniélou conosceva, da musicista prima ancora che da musicologo, entrambi i linguaggi e, a quell’epoca, era senz’altro l’unico al mondo in grado di accogliere la richiesta di Tagore per dar luogo al primo esempio fusione musicale. L’ottocento francese era stato caratterizzato da un certo esotismo naturalistico (Bizet) o di maniera (Félicien David, Meyerbeer, Massenet, Delibes, Saint-Saëns) e successivamente nella fucina parigina delle avanguardie non mancavano certo esempi notevoli di arrangiamenti di melodie provenienti da luoghi lontani inserite in una cornice armonica e strumentale complessa e moderna (Debussy, Stravinsky, Ravel). Se l’atteggiamento verso il materiale “esotico” durante il romanticismo aveva la stessa caratteristica di un grazioso acquerello da salotto e, nel Novecento, del prestito consapevole, la posizione di Daniélou si presenta totalmente nuova e differente, persino dalle rigorose concezioni dei musicisti-etnomusicologi quali Bartòk, Kodaly e Brăiloiu. Daniélou si trovava, infatti, ad assolvere ad un mandato ben preciso e lo affronta con il rispetto e l’umiltà di un servitore; allo stesso tempo l’umiltà non appiattisce il suo contributo manifestando il suo ragguardevole background di musicista conoscitore del repertorio e degli stili del suo tempo, operando precise scelte sentimentali e ragionate al tempo stesso. Tra le tante, la prima e più evidente è quella del pianoforte come accompagnamento della voce, la seconda è il conseguente richiamo ai generi del lied romantico tedesco e della chanson francese, simbolista ed impressionista; del resto lo stesso Daniélou non faceva mistero delle sue preferenze per Schubert, Fauré, Duparc. Tali forme, apparentemente obbligate nel contesto storico di Daniélou, risultano così pienamente funzionali al proposito di Tagore: Lied e chanson sono generi da camera, o, meglio ancora, da casa nel senso di hausmusik, idea che si avvicinava molto a quella di Tagore in India, dove più frequentemente il Rabindra Sangeet (letteralmente: Musica di Rabindranath, inteso come corpus lirico-musicale) veniva e tutt’ora viene accompagnato da un semplice harmonium in contesti domestici più che concertistici.
L’approccio sentimentale e ragionato, suggeritomi dall’esempio di Daniélou, sperimentato e consolidato in questi cinque anni, costituisce la peculiarità di un progetto editoriale volto alla diffusione e alla facilitazione di un lavoro musicale a lungo evitato e incompreso dagli interpreti occidentali. I tentativi di farli eseguire a rinomati musicisti finirono per lasciare insoddisfatti sia gli interpreti che lo stesso Professore. Oggigiorno l’ambiente musicale occidentale risulta essere più ricettivo e preparato rispetto a quello di qualche decennio fa e l’assimilazione delle culture extraeuropee in occidente rende meno problematico l’approccio da parte dei musicisti d’oggi.
Il passo che mi accingo a fare vuole tuttavia essere più ambizioso: non solo porre i diciotto Canti nell’ambito del repertorio del ‘900 come tentativo originale e compiuto di avvicinare melodie e testi orientali all’occidente ma anche di favorirne il “ritorno in patria”: suggestionato dal successo delle numerose performance, più volte eseguiti da Francesca Cassio e da me in India e Bangladesh, curerò un’edizione indirizzata agli interpreti indiani e bangladeshi che desiderano utilizzare l’accompagnamento pianistico in luogo degli arrangiamenti tradizionali utilizzando anche l’alfabeto bengalese. Del resto il numero crescente di musicisti indiani che si accostano alla musica europea e al pianoforte è in costante crescita, come specularmente quello dei musicisti occidentali che studiano musica indiana. Un’edizione al passo dei tempi non può non tenere conto della spinta della globalizzazione che porta a una più facile condivisione di modelli e risorse una volta confinati nel limiti delle culture locali. Daniélou aborriva la mescolanza di culture, caste e razze, come ogni forma di sincretismo religioso. Comprendere la portata delle sue affermazioni merita un’analisi dedicata, viste le indecorose strumentalizzazioni e le critiche che inevitabilmente si attirò nell’esprimere le sue idee. Tuttavia l’universalità del messaggio di Tagore, la sua visione della vita, del mondo, dell’esistenza, andava ben oltre i confini nazionali o culturali, quindi l’unione di questi linguaggi musicali risulta essere della stessa natura semantica e sociologica di una traduzione letteraria, arte in cui Daniélou era maestro.
Questo progetto editoriale è un sostanziale superamento dell’edizione De Maule del 2005 con i suoi evidenti limiti dovuti al formato di lettura, ai refusi e all’assenza dell’apparato critico-musicologico necessario per una esauriente e moderna pubblicazione ad uso dei musicisti.
La nuova edizione si avvarrà della comodità del formato elettronico e presenterà, nel rigo del canto, i testi inglese, francese, bengalese, sia in alfabeto bangla che latino, con traslitterazioni accurate in IPA (Alfabeto Fonetico Internazionale). Ci saranno cenni sui rāga (contesti modali e psicologici) da cui derivano le melodie, così come indicato negli stessi manoscritti di Daniélou. Verrà abbandonata la romanizzazione del bengalese presente nei manoscritti di Daniélou a favore di un sistema di trascrizione più intuitivo per l’interprete occidentale e più rispondente ai moderni standard internazionali; del resto in alcuni appunti del 1991 il Professore aveva già abbandonato, in alcuni titoli dei Canti, il criterio di trascrizione precedentemente adottato. Ci saranno note numerate al fine di segnalare discrepanze significative tra le fonti (più versioni manoscritte, bozze, edizioni precedenti) e saranno pubblicati anche arrangiamenti musicali alternativi ed inediti.
Ad affiancare il mio lavoro ho chiamato due esperti profondamente in contatto con la cultura indiana e bengalese, la Dr. Francesca Cassio e il Prof. Mario Prayer. Francesca Cassio, attualmente professore associato e chair in Sikh Musicology presso la Hofstra University di New York è la prima interprete dell’integrale dei diciotto canti nella versione di Daniélou, dal vivo e in compact disc. La Dr. Cassio ha studiato il Rabindra Sangeet a Kolkata e a Shantiniketan, dove e’ stata Visiting Professor in Musicology presso la Visva Bharati University fondata dallo stesso Tagore, attingendo così alle fonti originali e approfondendo il repertorio con interpreti specializzati e presenterà un saggio sull’interpretazione vocale di questi songs nel contesto del lavoro di Daniélou. Mario Prayer, docente di Lingua e Traduzione Bengalese presso l’Università “La Sapienza” di Roma contribuirà con un saggio sulla poetica dei diciotto Canti e con un’appendice sulla fonetica della lingua bengalese ad uso dei cantanti. A lui e Giulia Gatti dobbiamo le più belle traduzioni di alcune liriche di Tagore che hanno spesso ispirato Francesca Cassio e me nella resa delle nostre interpretazioni musicali.
Roma, ottobre 2012 Ugo Bonessi
[Ugo Bonessi, pianista e musicologo, ha realizzato con Francesca Cassio le prime registrazioni e l’esecuzione integrale dei diciotto Canti in concerto (Delhi, Mumbai, Kolkata, Dhaka) utilizzandoli nella realizzazione dell’opera “Opera d’Amore e Destino” nel 2007 (Roma, Zagarolo, Bergamo) e nella piéce teatrale “Dell’amore e del destino” del 2011 (Roma). Le registrazioni sono state effettuate sul pianoforte centenario di Alain Daniélou situato nella biblioteca del Labirinto, la villa nella campagna romana da lui abitata dal 1961 e oggi sede italiana della Fondazione Alain Daniélou(ex-Fondazione Harsharan). Le pubblicazioni in CD sono state prodotte dalla Fondazione Harsharan – Centro studi Alain Daniélou in collaborazione con Visva Bharati University e con l’etichetta Questz World di Kolkata, India]