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PrimordiaRicordo di Alain Daniélou

Nel centenario della nascita (1907- 2007)

Di Paolo Albertelli
Testo pubblicato nella rivista Primordia, N° XXXII, Milano, 2008.

Da tempo avevamo in animo di ricordare sulle nostre pagine la figura di Alain Daniélou ; lo facciamo ora, con un attimo di ritardo sulle celebrazioni per il centenario della nascita.

Ogni volta che si consideri il carattere profondamente lontano dal nostro tempo, e quindi vicino alla verità, di Daniélou, si rinnova lo stupore per il fatto che la sua opera continui a venire pubblicata, ormai in dodici paesi. “C’è voluto tanto tempo e la scomparsa di certi luminari del mondo accademico per dare spazio e pubblico al mio lavoro. La chiesa, l’Università e i falsi profeti innalzavano una barriera di silenzio difficile da superare.” Lamentava già nell’autobiografia ( v. pag. 250 de La Via del labirinto, Casadei, 2004). E’d’altra parte vero che se la sua sensibilità ne fa una prodigiosa sopravvivenza di uomo arcaico (dire antico non basta nel suo caso, come “greco classico” non basta per dire

minoico), quale studioso insigne, orientalista e musicologo occupo posizioni di alto prestigio sociale, sia in India sia in Europa. “Nonostante la scelta di una vita schiva, e il dichiarato rifiuto di atteggiarsi a maître à penser – deve essere considerato uno dei protagonisti più importanti della cultura europea moderna.” (dalle bella postfazione di Giorgio Milanetti a Il tamburo di Shiva, Casadei, 2007). In due parole: difficile ignorarlo. L’Italia poi, dove conta ormai una dozzina di titoli tradotti da editore benemeriti, e che lo ospito negli ultimi anni, è sede in Venezia della fondazione che ne conserva la biblioteca personale, e che organizza convegni di studi in suo nome (v. : Alfredo Cadonna (a cura di), Riccordo di Alain Daniélou, Olschki, 1996). Riteniamoci fortunati, quindi, perché lo siamo. E, magari, cerchiamo di agire di conseguenza.

Il Tamburo di Shiva, ultima nata fra le traduzioni nostrane, uscito proprio in occasione del centenario, non dovrebbe pero costituire il volume del primo approccio. Pur considerato il ridotto numero di pagine e la ripartizione molto schematica degli argomenti e dei capitoli, rimane opera di natura specialistica, che non turberà gli studenti di conservatorio ma che altrimenti può rivelarsi non agevolissima. Nel “monumentale lavoro di ricerca musicologica ed etnomusicologia di Daniélou”. (Giorgio Milanetti, l.c) il libro si stacca come una mirabile introduzione alla musica classica indiane, intesa quest’ultima quale “forma di meditazione estremamente sottile ed elevata”. Come si intuisce, il calore che alimenta le riflessioni dell’autore, il medium che le unifica e le conduce, è anche qui lo stesso filo rosso

che attraversa gli altri suoi lavori e li destina alla definizione di un comune porto metafisico: la ricerca della trascendenza. La trascendenza perseguita tramite le vie offerte dalla civiltà indiana, o meglio ancora: offerte dal “mondo indo-mediterraneo protostorico” ( Milanetti, l.c): musica, danza, yoga, erotica sacra. In sintesi, la religione shivaita (o dionisiaca) originaria. ( Tra parentesi, occorreva Daniélou per accorgersi che le nostre discoteche sono potenziali aeroporti per la trascendenza: v Shiva e Dioniso, Astrolabio, 1980, a pagina 196; intuizione sfuggita allo stesso Galimberti).

Ed è proprio la sua lettura dell’erotismo sacro a far si che questo autore ci sia definitivamente congeniale; questo professor universitario, nella Benares di Shiva, questo promotore culturale internazionale che fu anche in rapporti con l’Unesco, e che portava alla collana, al posto di una croce, un piccolo fallo d’oro (traggo la notizia da Caste, egualitarismo e genocidi culturali, Barbarossa, 1997, pag.5; saggio introduttivo di Jacques Cloarec). Una lettura tutto fuorché attuale; in lui non tira aria di “sessualità liberata” – pronta a tornare in catene (in famiglia…) al primo vento contrario; e d’altra parte sempre col tallone della giurisprudenza penale sul collo. Tutto questo è moderno, è orribilmente decadente. Ma la sua non è neppure nostalgia per un antico improponibile. Piuttosto: frequentandone la sapienza ci scorre davanti la proposta di un eros imbevuto nell’eternità. “L’indù vive nell’eternità”, è l’incipit de I quattro sensi della vita (Neri Pozza, 1998). Qui Daniélou più ci suggestiona e ci avvince. Possiamo cogliere in trasparenza lungo i suo iscritti una sottile opera di educazione, di ri-educazione dell’intero essere umano, ma in realtà dell’intero Creato. Un’opera di ricordino, dove tutto torni come era – come è – all’origine; con l’eros al vertice, quale sorgente creatrice. E’ evidente che siamo su un piano cosmologico, a distanza polare dalla “sessualità”, questo impasto elementare e grossolano di genialità e psicologia sociale. Al microcosmo, il nostro offre invece un “itinerario” di”ricomposizione dell’essere umano” (Milanetti, l.c), uno yoga reintegrativo capace di condurre a quel “luogo”, estatico per eccellenza, dove erotismo, religione e soffia si fondono beati in un uomo restituito alla sua integrità danzante, al suo stato primordiale.

“Alain Daniélou o la liberta di essere” e stato scritto con finezza (da Jacques Cloarec). Libertà di essere che cosa, chi?, si potrebbe domandare. E la finezza avrebbe termine, e l’errore inizio. “essere”, infatti, enuncia compiutamente quanto qui si vuole dire; esprime la pura potenzialità, la condizione del giuoco originario. Libertà di essere…..tutto! – dovremmo altrimenti vociare, con piglio dionisiaco e un sorriso fanciullesco e sfacciato, come di bambino arcaico in erezione. Nasce dalle stesse considerazioni il fascino dell’androgino; il travestito come colui che, in quanto maschio e femmina insieme, potenzialmente è tutto. E similmente ancora: l’OMnivalenza sessuale, apertura ad ogni pratica sessuale concepibile, comprese quelle condannate dagli uomini meschini – ma festeggiate dagli Dèi.

Tematiche queste che nei suoi libri approfondisce storicamente, e “dall’interno”, metafisicamente; e sulle quali ritorna, anche più volte. Come il tema della tolleranza, carattere tipico della società indù; sopratutto in riferimento al travisato aspetto della divisione in caste. Il sistema delle caste, impariamo, rispecchia la quadri partizione dell’ordine cosmico, e rispettando le differenze naturali degli uomini tra loro risulta precipuo nel consentire la fioritura della individualità, anche le più originali. Laddove invece l’eguaglianza obbligata, tipica dell’Occidente degli ultimi due secoli, soffoca, reprime con ipocrita, falso umanitarismo.

Uomo mite, di profonda indulgenza verso la natura umana, ma intransigente con chi questa natura tiranneggi in nome di religioni o ideologie. A voler tentare un raffronto con l’altra grande figura di “riformatore” religioso, o liberatore, del nostro tempo, il Crowley, risalterebbero di più ….le differenze. Quando l’inglese è segreto, sornione nella propria ironia di individuo distaccato, tanto il Nostro è diretto; quanto il primo è austero e aristocratico, tanto il secondo è vicino agli strati più popolari, all’humus aborigeno e “caldo” dei popoli; quanto l’erotismo dell’uno guerresco e funzionale (magia sessuale), tanto la sensibilità erotica dell’altro ha una ricaduta umana, e un calore; un respiro lirico e celebrativo.

In Daniélou, in fondo, troviamo un uomo incanto dal dono celeste dell’amore sensibili, risonanza dell’ananda cosmico, e che con ammirevole coerenza ha voluto impostare la propria vita, privata e di studioso, come atto di gratitudine verso i donatori. “Saggezza e passione”: raccogliamo ancora una volta la penna di Jacques Cloarec, in una squisita formula che ne riassume la figura. In una in-civiltà come l’attuale Occidente (e come gran parte dell’Oriente monoteista), che si fregia di definirsi nei propri elementi di base “democratica, fondata sul lavoro”, come se questi fossero titoli di merito anziché aberrazioni, Alain Daniélou è stata forse la più limpida espressione di nostalgia per una civiltà amorosa e armoniosa ( e visto il contesto potremmo davvero dire anche musicale, come la cosmologia di Pitagora e di KEPLERO) – fondata sull’estasi.

Archives Fondation Giorgio Cini – Venise

Archivio della Biblioteca Alain Daniélou della Fondazione Cini di Venezia

Le Professeur Giovanni Giuriati, de l’Université di Roma “La Sapienza”, Direttore del instituto creato da Alain Daniélou a Venezia scrive
(25 Luglio 2009)

….Approfitto dell’occasione per metterla a parte degli sviluppi del lavoro sul Fondo Daniélou che stiamo conducendo da quando, circa un anno fa, sono stato incaricato di seguirlo.

Dopo una prima visita, l’anno scorso su mio invito, del prof. Koch Ethnologisches Museum der Staatlichen Museen zu Berlin, Leiter der Abteilung Musikethnologie, che si è reso conto del valore del Fondo e ci ha fornito una prima valutazione del contenuto e delle cose da fare, ho incaricato nel corso di quest’anno una dottoranda in etnomusicologia, Valentina Brandazza, che legge correntemente sanscrito e Pali oltre a sapere di musica, chiedendole di redigere un primo inventario del fondo nella sua interezza, vale a dire sia le schede che i manoscritti. Questo lavoro ha coinvolto anche i bibliotecari della Fondazione e parte della segreteria generale, risvegliando, anche all’interno della Fondazione Cini, un interesse per questo prezioso lascito. Siamo ancora ‘nel mezzo del guado’ come si dice in italiano, ma alcune cose sono state già fatte e tutto lascia sperare che continuino in futuro. Almeno questa è la nostra intenzione.

Gliele riassumo molto sinteticamente.

1) Una prima questione è quella della conservazione dei documenti. La responsabile del servizio biblioteche, dott.ssa Sardo sta lavorando alla conservazione delle 300 0000 schede. Sta preparando delle apposite scatole di cartone nelle quali conservarle, disponendo un foglio di carta velina tra scheda e scheda in modo da proteggerle. Si è iniziata ad affrontare anche la questione dei manoscritti, alcuni dei quali cominciano a mostrare i segni del tempo e che necessitano anche loro di qualche intervento di restauro e conservazione adeguata.

2) Valentina Brandazza, che è stata più volte a Venezia e ha lavorato con la bibliotecaria dell’Istituto ‘Venezia e l’Oriente’, la sig.ra Carla Bonò, sta procedendo ad una catalogazione sommaria dei 423 manoscritti, sulla base delle precedenti e incomplete catalogazioni, prendendo ciascun manoscritto e procedendo alla schedatura secondo il criterio adottato dal sistema delle biblioteche della Fondazione Cini, con delle varianti dovute alla specificità del materiale. Questo inventario-catalogo aggiornato dovrebbe esser pronto entro l’autunno.

3) Siamo in contatto con il prof. Koch per lo sviluppo di progetti comuni. Fra l’altro il Phonogramm Archiv di Berlino che, come sa, lui dirige, ha appena acquisito tutto il materiale sonoro di nastri dell’Istituto di Musica Comprata di Berlino che si trovava a Bamberg.

Insomma, ecco brevemente un aggiornamento della situazione. Per la Fondazione Cini, lo scopo principale di questo lavoro è quello di poter mettere a disposizione degli studiosi il Fondo Daniélou consentendo loro di poter venire all’isola di S.Giorgio e di poter lavorare su questi materiali che sono preziosi per chi si interessi della musica indiana e, più in generale, di filosofia, religione, storia del pensiero del subcontinente indiano e di proseguire la monumentale opera di studio, ricerca e documentazione iniziata dal Maestro Daniélou.