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LIBRAIRIE

La ajorca de oroEditorial: J. J. Olañeta e Indica Books
ISBN: 9788497164160
Fecha de Edición:06/2007
Traducido por :De la versión inglesa de Alain Danielou por Jesús
Aguada
Tiempo de Expédition: Hast 5 Días
Tamaño: 150 X 210 mm.
Páginas: 170

Descripción: Shiappadikáram (La ajorca de oro), novela Tamil del siglo II, repleta de leyendas deslumbradoras, de descripciones sobre el paisaje, la música y las costumbres de la época, de información acerca de ritos religiosos y doctrinas filosóficas, esta novela, junto con “La bailarina de la escudilla mágica”, es uno de los más extraordinarios logros literarios de la India clásica.

 

ManimekhalaiEditorial: J. J. Olañeta & Indica Books ISBN: 9788497164177
Fecha de Edición:08/2007
Traducido por :De la versión inglesa de Alain Danielou por Jesús

Aguado
Tempo de Expédition: Hast 5 Dias Taman: 150 X 210 mm.
Páginas: 182

Sumario: Novela tamil del siglo II d.C. narra los amores del joven Kóvalan con la cortesana Mádhavl, su posterior vuelta con su esposa Kánnaki y el largo viaje que hacen juntos a otra ciudad, la venganza de Kánnaki cuando aquél es asesinado y las aventuras de Manimekhalai (hija de Kóvalan y de Mádhavi), la cual, renunciando a dedicarse a la profesión de su madre ante el escándalo general, se convierte en asceta budista y se entrega a predicar su nueva fe mientras realiza toda clase de obras de caridad. Repletas de leyendas deslumbradoras, de datos sobre el paisaje, la música y las costumbres de la época, de información acerca de ritos religiosos y doctrinas filosóficas, esta novela, junto con “La ajorca de oro”, es uno de los más extraordinarios logros literarios de la India clásica.

 

 

Articolo

Il giro del mondo Nel 1936 - Alain DaniélouArticolo : Corriere della Sera

MEMORIE IL BREVIARIO DI ALAIN DANIÉLOU, IL GRANDE ORIENTALISTA CHE STUDIÒ IN AMERICA MA AMAVA L’ INDIA E LO YOGA

Viaggio intorno al mondo per «colpa» di un dietologo

Itinerario In roulotte, tra montagne sacre, templi d’ oro, fachiri, un maharajah musicista, scimmie e brahmani

Alain Daniélou (1907-1994), uno dei grandi orientalisti del secolo scorso, era di salute cagionevole ma sin da ragazzo si fece una solida cultura diventando, tra l’ altro, un formidabile esperto di musica e pittura. Fratello minore del celebre Jean, cardinale e sommo conoscitore del primo cristianesimo, Alain compì gli studi universitari in America, dove lavorò anche come pianista nelle sale dei film muti. Si stabilì per un quindicennio in India: fu iniziato all’ induismo, partecipò alla lotta per l’ indipendenza, insegnò all’ università di Benares, frequentò Tagore e diresse la biblioteca di manoscritti sanscriti a Madras. Di Alain Daniélou esce Il giro del mondo nel 1936 (CasadeiLibri, pp. 156, 30), un breviario per chi non insegue mode e ama suggestioni perdute, soprattutto dedicato a coloro che guardano il sapere come un viaggio senza fine e credono che la conoscenza si formi attraverso l’ eterna odissea del nostro spirito. Un libro che assomiglia a un album: non mancano i disegni dello stesso Alain e le istantanee dello svizzero Raymond Burnier, compagno in questa avventura e pioniere delle mostre fotografiche al Metropolitan Museum. All’ origine del viaggio c’ è l’ invito di Gayelord Hauser, un dietologo amico di Greta Garbo conosciuto in Transilvania nei castelli di Anton Sztaraï, che viveva a Hollywood. È un’ avventura dai ritmi pacati; i due cercano luoghi sconosciuti ma, soprattutto, se stessi. Alain che pratica lo yoga e ha sete di filosofie indiane e di cosmologie, corre per i deserti e le città d’ America non disdegnando di sostare al Bali di Hollywood, dove Bruz Fletcher canta strofe sovente interrotte dalla polizia. Raymond restituisce nelle sue foto, tra lacerti di un mondo che fu, un Giappone pio, solenne, eroico. La Cina è vista «di corsa», forse perché è esistenzialmente contagiosa: il direttore dell’ albergo «vive a Pechino da trentacinque anni senza esserne mai uscito» e chi si ferma qui «non riesce più ad andarsene». Infine c’ è l’ India misteriosa, dove i due visitano la Società Teosofica o vedono la Casa delle vedove. Se ne vanno in roulotte, tra montagne sacre, templi d’ oro, fachiri, un maharajah musicista, scimmie e brahmani. Correndo e meditando, lasciano appunti e foto. Che vale la pena conoscere.

Torno Armando

Pagina 35 (15 marzo 2009) – Corriere della Sera http://archiviostorico.corriere.it/2009/marzo/15/Viaggio_intorno_mondo_per_colpa_co_9_090315046.shtml

 

Extrait

La rivista VERVE ha pubblicato un bel articolo con le foto dei templi medievali di Daniélou e Burnier nel suo mensile internazionale numero 29 di novembre 2008:

“Divino Piacere”

Un viaggio verso la trascendenza a partire dale millenarie acrobazie erotiche dei templi induisti di Khajuraho. La vicenda di Alain Danielou e Raymond Burnier.
Testo di Massimo Jevolella.

La storia delle fotografie di queste pagine ebbe inizio nella prima metà degli anni trenta del secolo scorso, quando un giovane intellettuale e musicista francese, nato a Neuilly-sur-Seine nel 1907 da madre cattolica e padre anticlericale, fuggi dal natio borgo selvaggio scatenandosi in una serie di viaggi esaltanti in giro per il mondo: dal Medio Oriente all’Indonesia, dalla Cina al Giappone, pungolato da una sete inesauribile di conoscenza. Quel giovane si chiamava Alain Daniélou e doveva aver assorbito le sue idee più dal papà mangiapreti che dalla mamma devota: la morale cattolica gli ispirava una vera e propria repulsione. Nella sessuofobia inculcata dal clero vedeva soltanto ipocrisia e repressione crudele degli istinti naturali. Divenne ben presto amico di molti degli intellettuali e degli artisti più ribelli e famosi del suo tempo, da Romain Rolland ad André Gide, e un giorno conobbe un sensibilissimo fotografo svizzero un po’ più giovane di lui, Raymond Burnier, se ne innamoro e gli propose di accompagnarlo nei suoi viaggi avventurosi. I due partirono per l’Oriente, soggiornarono un po’in Afghanistan, e poi si lanciarono alla scoperta dell’India, col netto presentimento che quel viaggio avrebbe cambiato la loro vita. Non si erano sbagliati! Dopo aver passato un po’di tempo nel Bengala, a Santiniketan, accanto al poeta e mistico Rabindranath Tagore, sempre più affascinati dalla grande civiltà indiana decisero di esplorare il cuore di quell’immenso paese, finché, nel mare di foreste del Madhya Pradesh, apparve loro un giorno una visione di indescrivibile bellezza: il complesso dei templi di Khajuraho ( tutti edificati tra il 950 e il 1050 d.C. nello stile architettonico Nagara dai sovrani rajput della dinastia Chandella).

L’emozione che provarono entrambi ando molto al di là di una prevedibile sindrome di Stendhal. Alain e Raymond rimasero stregati da quella schiera stupefacente di statue che in modo assolutamente realistico, nelle morbide forme e nei caldi colori della pietra arenaria, rappresentavano in tutte le varianti possibili il tema del gioco erotico e dell’unione sessuale. Ma qui accadde anche un fatto al limite del paranormale. Il grande fotografo senti per quei personaggi scolpiti nell’atto dell’amore un sentimento di autentica passione. S’innamoro letteralmente di Khajuraho e delle sue ninfe celesti, le bellissime apsaras dai seni generosi e dai corpi floridi e sinuosi, nudi o seminudi, agghindati di monili e ornamenti eccitanti; insieme ad Alain si senti attratto in modo irresistibile da quella profusione incredibile di acrobazie erotiche degne di illustrare in ogni dettaglio le istruzioni del Kama Sutra, e di andarne anche oltre, fino agli estremi limiti della trasgressione e della fantasia. E si consacro da quel momento a fotografarli, a farne risaltare i contorni, le profondità e i contrasti attraverso le lenti delle sue formidabili Leica.

Le sue fotografie – che ci sono state concesse in esclusiva da Jacques Cloarec, presidente della fondazione Alain Daniélou, grazie agli auspici di Maurizio Rosenberg Colorni – sono a dir poco affascinanti. In primo luogo, esse dimostrano, con la splendida evidenza di un’arte scultorea fiorita mille anni fa, che non sempre lo spirito religioso dell’umanità ha condannato e respinto l’erotismo nel nome della divinità. Non sempre la parola di Dio, o il volere degli dei, o il comando delle leggi proclamate dai profeti e dai grandi sacerdoti hanno colpito in modo inappellabile la voluttà dei sensi, il piacere, il libero abbandono alla funzione naturale dell’accoppiamento e all’estasi dell’orgasmo. Al contrario: vi fu un tempo – e questo tempo duro molto migliaia di anni, prima dell’avvento delle grandi religioni storiche e dei monoteismi abramitici – in cui l‘umanità, evidentemente più vicina al primordiale stato di natura, vide nel sesso l’espressione più alta della sacralità, e nell’erotismo il modo più diretto per favorire il ricongiungimento dell’essere umano con il divino.

Mentre Raymond annegava nella contemplazione estetica delle statue, Alain ne cercava il significato, ne percepiva il messaggio vivente, e da allora si dedicava interamente allo studio dei testi induistici che ne racchiudevano il segreto. Imparava il sanscrito ( cioè, l’idioma ariano primordiale, la lingua sacra di quegli antichi libri), e s’immergeva nei miti e nelle rivelazioni del culto di Shiva e del tantrismo. Il suo entusiasmo cresceva fino al punto da indurlo, e da convincere anche Raymond, a stabilirsi in India e a convertirsi all’induismo. Cosi, la metamorfosi s’era ormai completata: non erano più atei europei, ma religiosi indiani. Non più ribelli anticonformisti, ma seguaci di un’antichissima tradizione sapienziale. Secondo quella tradizione, che a partire dal VI secolo d.C. era confluita nella cosiddetta religione dei Tantra, la vera potenza attiva che governa il cosmo è la shakti, cioè il principio femminile, la femmina del dio creatore e distruttore Shiva che nella mitologia induista prende in nome di Kali. E dunque lei, la shakti, o la dea Kali, che rianima incessantemente il corpo e la volontà di Shiva, estrinsecando tutta la sua virtù nel mistero dell’attrazione sessuale che risveglia la potenza generativa del dio. Il cardine rituale di questa tradizione viene percio ad essere il maithuna, ossia il coito, che assurge a una funzione cosmica e trascendente: è quello che Alain Daniélou definirà, in suo famoso libri, “l’erotismo divinizzato”.

Ben presto pero gli entusiasmi di Alain e di Raymond attirarono la riprovazione della cultura dominante, sia in Occidente che nella stessa India influenzata dal puritanismo vittoriano dei governi inglesi. Anche dopo il 1947, quando l’India ottenne l’indipendenza, le cose non cambiarono. Anzi ! Jacques Cloarec ricorda in un suo scritto che il Pandit Nehru un giorno disse a Daniélou, in tono quasi stizzito: “Voi vi interessate a tutto quello che noi vogliamo cambiare”. Come dire: lascia perdere Shiva e Kali, e tornatene in Europa a fare il professore……In quanto a Gandhi, Cloarec afferma che egli non fu da meno di Nehru. Educato anche lui nelle scuole della pudibonda Inghilterra, un giorno il Mahatma sarebbe arrivato al punto di incitare i suoi fedeli a distruggere le “statue oscene” di Khajuraho. Per fortuna cio non avvenne, e questo ci dispensa anche dal supporre che un uomo della levatura di Gandhi avesse potuto concepire idee non molto diverse da quelle dei talebani afghani, che nel 2001 distrussero il Buhda gigante di Bamiyan. Raymond mori a 56 anni, nel 1968. Alain lo segui nel regno di Shiva a 87, nel 1994. Oggi Khajuraho attrae da tutto il mondo fiumi di turisti armati di videocamere. Queste vecchie foto, realizzate fra il 1935 e i primi anni cinquanta, ci restituiscono i corpi e gli amori divini dell’India millenaria in una luce inedita e diversa: la luce di un’intatta passione, l’emozione di una scorperta capace di sconvolgere il cuore e illuminare la mente.

La vicenda è stata ripercorsa dallo stesso Alain Daniélou nel libro Il giro del mondo nel 1936, oggi edito da CasadeiLibri con foto di Burnier e disegni d’autore.

www.casadeilibri.com

Verve